Disciplina dell'accesso ai documenti amministrativi secondo le leggi 7 agosto 1990 n. 241 e 8 giugno 1990 n. 142; differenze e problemi di coordinamento tra le due leggi.
1. Premessa
Sono pervenuti a questa Commissione alcuni quesiti concernenti
il rapporto tra la disciplina dell'accesso dettata dalla legge 7
agosto 1990, n. 241 e quella dettata dalla legge 8 giugno 1990, n.
142.
E' inoltre pervenuta una richiesta di parere, riguardo alla
necessità o meno di uno specifico interesse del richiedente per
accedere ai documenti amministrativi comunali in considerazione
della diversa disciplina prevista dall'art. 22, della legge 241/90
e dall' art. 7, della legge 142/90.
Trattandosi di questioni di rilevanza generale la Commissione,
nella seduta del 3.10.95, ha ritenuto opportuno farne oggetto di
una direttiva indirizzata a tutte le amministrazioni al fine di
uniformare l'applicazione della disciplina in materia di accesso in
tema di rapporti tra le leggi citate.
2. Differenze tra le due discipline
Le differenze riscontrabili tra le due leggi riguardano:
a) l'oggetto; b) i soggetti; c) i limiti; d) le modalità di
esercizio del diritto di accesso.
a) L'oggetto. L'art. 22 della legge 241/90 ai riferisce ai
"documenti amministrativi" di cui dà una definizione molto ampia ma
comunque caratterizzata da una rappresentazione materiale del
contenuto di atti; gli artt. 7, quarto comma, e 4, secondo comma,
legge 142/90 si riferiscono invece agli "atti amministrativi" e
alle "informazioni" (in precedenza il diritto di accesso era già
previsto per gli enti locali dalla legge 27.12.1985, n.816 che
all'art. 25 lo riconosceva a tutti i cittadini in relazione agli
"atti" e ai "provvedimenti" dell'amministrazione).
Le due discipline coincidono in larga parte ma una differenza c'è
in quanto le "informazioni" possedute dall'amministrazione esulano
dalla sfera dei documenti amministrativi e quindi della L. 241/90
fino a quando non ricevono una qualche rappresentazione
documentale.
b) I soggetti e la legittimazione. L'art. 22 della legge 241/90
riconosce il diritto di accesso a "chiunque vi abbia interesse per
la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti"; gli artt. 7,
terzo e quarto comma e 4, secondo comma, della legge 142/90
prevedono invece che "tutti gli atti dell'amministrazione comunale
e provinciale sono pubblici" e riconoscono la titolarità del
diritto di accesso "ai cittadini singoli e associati".
La differenza è evidente: la legge 241/90 non circoscrive la
titolarità del diritto di accesso ad una o più categorie di
soggetti ("chiunque" può esercitarlo) tuttavia ne consente
l'esercizio solo in funzione della tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti; invece la legge 142/90 circoscrive la
titolarità del diritto ai "cittadini" (e non a "chiunque") ma non
prevede limiti sul piano della legittimazione nel senso che i
cittadini possono accedere agli atti degli enti locali per
soddisfare qualunque tipo di interesse.
Entrambe le leggi prevedono quindi dei limiti soggettivi ma ben
differenti: la legge 241/90 in relazione all'interesse la legge
142/90 in relazione ad uno status.
c) I limiti. La legge 241/90 prevede che l'accesso sia: 1)
escluso per i documenti coperti da segreto o divieto di
divulgazione altrimenti previsto dall'ordinamento; 2) escluso o
differito per i documenti individuati da ciascuna amministrazione
in relazione all'esigenza di salvaguardare gli interessi indicati
nelle lettere a), b), c) e d) dell'art. 24; 3) escluso per gli atti
preparatori nel corso della formazione di atti normativi,
amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione
(art. 24, sesto comma); 4) differito per i documenti la cui
conoscenza possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento
dell'azione amministrativa (art. 24, sesto comma).
La legge 142/90 prevede invece che l'accesso sia: 1) escluso per
gli atti che sono "riservati per espressa indicazione di legge ";
2) differito con provvedimento motivato dal sindaco o dal
presidente della provincia quando si tratta di atti la cui
diffusione possa pregiudicare la riservatezza di persone, gruppi ed
imprese, conformemente a quanto previsto dal regolamento
dell'amministrazione locale.
d) Le modalità di esercizio. La legge 241/90 detta alcune
disposizioni nell'art. 25 (l'istanza di accesso deve essere
motivata, deve essere rivolta all'amministrazione che ha formato
l'atto o che lo detiene stabilmente, l'esame dei documenti è
gratuito, ecc., ecc.) ma per il resto demanda al potere
regolamentare del Governo (D.P.R. 352/92).
La legge 142/90 non disciplina le modalità di esercizio (se non per
quanto attiene al rimborso dei costi) e demanda integralmente la
materia al regolamento dell'amministrazione locale.
3. Ambito di applicazione delle due leggi.
Ai sensi dell'art. 23, legge 241/90 il diritto di accesso "si
esercita nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi
compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari
di pubblici servizi.
E stato sostenuto in dottrina che l'espressione "ivi compresi" (in
luogo di "ivi comprese") sia riferibile non solo alle aziende
autonome ma anche agli enti pubblici e che quindi la disciplina
dell'accesso di cui alla legge 241/90 sarebbe applicabile solo agli
enti pubblici statali e non anche agli enti locali.
Questa interpretazione é stata già esaminata da un Comitato
ristretto nominato da questa Commissione nel 1993 il quale l' ha
condivisa esprimendosi nel senso dell'inapplicabilità della legge
241/90 agli enti locali.
Si tratta però di una interpretazione che, "re melius perpensa",
non appare condivisibile perché: 1) si basa su una lettura del
testo normativo che appare discutibile (in quanto l'espressione
"ivi compresi" può essere intesa nel senso di "nonché nei
confronti"); 2) ai sensi dell'art. 29 le disposizioni della legge
241/90 costituiscono principi generali dell'ordinamento giuridico e
"operano direttamente nei confronti delle regioni fino a quando
esse non avranno legiferato in materia"; 3) dai lavori preparatori
emerge che anche in tema di accesso la legge 241/90 si applica a
tutti gli enti pubblici; 4) ai sensi dell'art. 2 primo comma del
D.P.R. 352/92 il diritto di accesso di cui alla 241/90 "è
esercitata nei confronti di tutte le pubbliche
amministrazioni".
Ai sensi della legge 142/90, invece, il diritto di accesso si
esercita nei confronti dei comuni e delle province. Qui non sorgono
problemi interpretativi.
L'ambito di applicazione delle due leggi appare, quindi,
potenzialmente coincidente perché l'accesso agli atti degli enti
locali è disciplinato da entrambe.
4. Coordinamento tra le due leggi.
La legge 7 agosto 1990, n.241 è successiva alla legge 6 giugno
1990, n. 142.
Tuttavia, deve ritenersi che tra le due discipline non vi sia un
rapporto di modificazione o abrogazione bensì di reciproca
indipendenza ed integrazione sia perché l'art. 1, terzo comma,
L.142/90 dispone che "ai sensi dell'art. 128 Cost. le leggi della
Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della
presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue
disposizioni"; sia perché "lex posterior generalis non derogat
priori speciali".
Sul punto la dottrina è concorde ed in giurisprudenza si riscontra
una decisione del TAR Lombardia in cui, pur parlandosi in termini
di abrogazione, si perviene però ad una sostanziale integrazione
delle due leggi, (sent. 6.11,92 n. 1198).
La soluzione è quindi di applicare in modo integrato le due leggi
coordinandole secondo un rapporto di genere a specie nel senso che
la 241/90 si applica anche agli enti locali in tutti i casi in cui
non trovano applicazione le diverse disposizioni della speciale
legge 142/90.Ogni differenza tra le due leggi ha però i suoi
problemi di coordinamento che devono essere affrontati
singolarmente.
a) L'oggetto
Le due normative sono in larga parte coincidenti stante il
principio di documentalità della p.a.. Comunque la 142/90, mediante
l'accesso anche alle informazioni non ancora trasfuse in documenti,
non fa che anticipare la conoscenza dell'azione amministrativa
degli enti locali rispetto alla legge 241/90 secondo la quale il
diritto di accesso ha ad oggetto i documenti amministrativi e non
anche le informazioni.
b) I soggetti
II problema riguarda l'interpretazione del termine "cittadini"
utilizzato nella legge 142/90 in luogo della parola "chiunque" che
compare nella legge 241/90.
Le possibili soluzioni interpretative sono tre: 1) il termine è
utilizzato in senso atecnico, in contrapposizione a pubblica
amministrazione, quindi si riferisce a tutti i soggetti e non solo
a chi possiede lo status di cittadino secondo il nostro
ordinamento; 2) il termine è utilizzato nel senso tecnico di
cittadini italiani, quindi la legge 142/90 non si applica agli
stranieri e agli apolidi; 3) il termine è usato nel senso tecnico
di cittadini residenti nella provincia e nel comune di cui si
tratta, quindi la 142/90 non si applica agli stranieri, agli
apolidi e ai cittadini residenti in un comune o in una provincia
diversi da quelli a cui è rivolta l'istanza di accesso.
Esclusa la soluzione sub 1) perché contraria alla lettera della
legge (e i lavori preparatori della legge 241/90 lo confermano in
quanto il termine "cittadini" fu sostituito con "chiunque" proprio
per non limitare la titolarità del diritto) non resta che scegliere
tra la seconda e la terza ipotesi interpretativa entrambe sostenute
in dottrina (per la seconda: v. Balboni E. (a cura di), Uno statuto
per l'autonomia, Milano 1991, p. 29; per la terza: Franco I,
Trasparenza, motivazione e responsabilità; partecipazione e diritto
di accesso nella legge 241/90. Rapporti con precedenti normative,
in Foro Amministrativo 1992, p. 1282).
Si ritiene di dover propendere per la terza soluzione
interpretativa in quanto la ratio di un diritto di accesso "più
forte" sugli atti degli enti locali è data dalla appartenenza alla
comunità locale e dalla conseguente esigenza di controllo sulla
gestione amministrativa degli interessi che coinvolgono solo gli
appartenenti a quella comunità i quali quindi non sono tenuti a
motivare la richiesta di accesso con l'esigenza di tutelare una
situazione giuridicamente rilevante.
In altri termini è solo l'appartenenza alla comunità locale (che si
ha con la residenza nel relativo territorio comunale o provinciale)
a giustificare una disciplina speciale la quale altrimenti non
avrebbe ragion d'essere in quanto la mera cittadinanza italiana di
per sé non appare sufficiente per attribuire una posizione
differenziata ai fini dell'accesso indistintamente presso tutti i
comuni e le province d'Italia.
D'altra parte tale soluzione non sarebbe in contrasto con gli artt.
3 e 24 Cost. in quanto il cittadino residente in un Comune che
abbia interesse a conoscere un documento di un altro Comune ben
potrebbe far valere (come "chiunque") il suo interesse
giuridicamente rilevante ai sensi dell'art. 22, legge 241/90.
Invece, seguendo la soluzione sub 2) sarebbe difficile giustificare
il diverso trattamento riservato, da un lato, allo straniero e
all'apolide, dall'altro, al cittadino residente in un comune
diverso e magari molto distante da quello a cui è rivolta la
domanda di accesso.
Deve ritenersi, quindi, che la legge 142/90 si applica
esclusivamente alle istanze di accesso presentate dai cittadini
residenti nella provincia o nel comune che ha emanato o che detiene
stabilmente il documento amministrativo oggetto di esame mentre in
tutti gli altri casi l'accesso è disciplinato dalla legge
241/90.
c) I limiti
L'art. 7, terzo comma, L. 142/90 contiene una formula ("tutti gli
atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad
eccezione ti quelli riservati per espressa indicazione di legge ")
che consente di applicare tutte le ipotesi di esclusione e di
differimento previste dalla L. 241/90 anche ai casi di accesso
disciplinati dalla L. 142/90.
d) Le modalità di esercizio
La materia è prevalentemente demandata alla normativa
regolamentare. Le disposizioni dettate direttamente dalla legge
241/90 all'art. 25 riguardo alle modalità di esercizio si applicano
anche all'accesso disciplinato dalla legge 142/90 ed eccezione
dell'onere di motivazione e della disciplina dei costi.
Sull'onere di motivazione va ricordato che per accedere ai
documenti ed alle informazioni degli enti locali non è necessario
addurre alcun interesse da parte dei cittadini residenti
contrariamente a quanto previsto dall'art. 22, legge 241/90 che,
riconoscendo il diritto di accesso "per la tutela di situazioni
giuridicamente rilevanti", comporta necessariamente un'adeguata
motivazione dell'istanza di accesso.
Sui costi le due leggi si diversificano: 1) l'art 25, legge 241/90
dispone "L'esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è
subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve
le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di
ricerca e di visura"; 2) l'art. 7, della legge 142/90, invece,
prevede "il regolamento assicura ai cittadini singoli e associati,
il diritto di accesso agli atti amministrativi e disciplina il
rilascio di copie di atti previo pagamento dei soli costi ".
Pertanto: 1) ai sensi della legge 241/90 l'accesso è subordinato al
pagamento del solo costo di riproduzione e dei diritti di ricerca e
visura; 2) ai sensi della legge 142/90 il pagamento dell'accesso
deve essere disciplinato nel regolamento comunale e provinciale con
riferimento ai "soli costi", quindi a tutte le spese vive
sopportate dall'amministrazione locale e non solo alle spese ci
riproduzione.
Tale diversa disciplina trova la sua "ratio" nella differente
legittimazione prevista dalle due leggi. Infatti ad una
legittimazione più ampia prevista dalla legge 142/90 - pari al
possesso dello status di cittadino residente nel comune o nella
provincia - corrisponde un maggiore onere per l'amministrazione e
quindi un accesso più costoso rispetto a quello previsto dalla
legge 241/90 per coloro che esercitano il diritto di accesso
esclusivamente a tutela di una situazione giuridicamente
rilevante.
Tuttavia nell'ambito della legge 142/90 il pagamento dell'accesso
dovrà essere disciplinato nei regolamenti locali con esclusivo
riferimento al rimborso delle spese vive da calcolarsi con
particolare moderazione onde evitare il più possibile che
l'esercizio del diritto di accesso possa essere condizionato da
implicazioni di carattere economico.